La premessa fondamentale per praticare l’attività fisica come “道Do”
- Takeshi Oryoji
- 18 mag
- Tempo di lettura: 3 min
Come possiamo sviluppare capacità fisiche che si possano continuare a coltivare anche in età avanzata? Quali sono le condizioni necessarie per farlo? Si dice che ciò sia possibile nel kendō, ma si tratta davvero di qualcosa di universale che possa essere realizzato anche in altri ambiti dell’attività fisica? Ad esempio, sarebbe possibile ottenere una simile performance nelle arti marziali a mani nude?
Ci saranno sicuramente persone che, di fronte a tali domande, respingono l’idea fin dall’inizio come qualcosa di impossibile. Soprattutto tra coloro che si allenano seriamente ogni giorno con il proprio corpo, come i praticanti delle arti marziali a mani nude, la risposta negativa sarà accompagnata da una convinzione basata sull’esperienza.
Tuttavia, ciò che bisogna assolutamente comprendere come premessa fondamentale in questo discorso è che non si tratta più di ragionare all’interno dei confini delle regole e dei metodi esistenti. È ovvio che un anziano non possa competere ad armi pari in uno scontro a mani nude dove si scontrano enormi energie fisiche giovanili, e nella realtà ne ho visti molti esempi. In altre parole, è già chiaro che cercare di scoprire un’altra capacità fisica potenziale rimanendo nei concetti delle arti marziali esistenti o in altre attività fisiche è sostanzialmente impossibile.
Dobbiamo quindi comprendere che ciò che si vuole esplorare qui si sviluppa al di fuori delle regole e dei concetti esistenti. È come passare dalla riflessione sulla corsa come gara di velocità sui 100 metri, alla considerazione della corsa di resistenza come la maratona di 42,195 km. Se si considera che correre significhi solo sprintare brevemente, allora non si è nemmeno in grado di iniziare a pensare a come correre una maratona.
Anche se si tratta sempre di gareggiare in velocità, è naturale che i metodi cambino completamente tra i 100 metri e i 42,195 km. Nessuno corre i 100 metri preoccupandosi della distribuzione del ritmo. Si allena ogni passo per raggiungere la massima velocità senza sprecare neanche un movimento. Al contrario, nella maratona si punta a raggiungere la massima velocità solo dopo aver garantito un ritmo di consumo energetico che consenta di completare la gara. Cioè, bisogna sempre essere consapevoli, immaginare e calcolare la distanza dal punto in cui ci si trova fino al traguardo, per determinare il modo migliore di correre in ogni momento.
Ovviamente, questa distanza di 42,195 km nella maratona è una metafora del tempo della propria vita. Significa che dobbiamo procedere osservando la nostra vita, fino alla morte, da una prospettiva panoramica e oggettiva. Questo si collega al concetto di praticare qualcosa come una "via" (dō 道).
Quando si è ancora all’inizio e la strada da percorrere è lunga, è difficile vedere ciò che sta davanti. Un metodo di allenamento che funziona bene per tre mesi potrebbe non funzionare più dopo un anno. Anche se si è entusiasti di aver trovato il metodo migliore dopo un anno, dopo dieci anni potrebbe esserci un altro cambiamento. Questa via si può percorrere solo una volta, non si può tornare indietro o ripartire da zero. E si ha solo un corpo. Quando si pratica qualcosa come una via, mantenere il corpo in salute è la condizione minima. Separare la propria coscienza dal corpo e immergersi ciecamente in un metodo è estremamente pericoloso.
Per cominciare, è importante riconoscere che esiste anche una disciplina chiamata corsa di lunga distanza.
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